LEONARDO CUMBO

Paola Serra Zanetti (1997)

Le opere e le istallazioni di Cumbo mostrano come l’ultima generazione plastica operante in Italia tenga conto simultaneamente di antichi sapori e di attuali giocosita’ e “arguzie” (nel senso piu’ pregnante del termine inglese di “Wit”). Sono tuttavia molti anni (ricordate Volterra 73?) che gli artisti si cimentano col rapporto scultura/ambiente, in una vettorialita’ al sociale, piuttosto che di decorativismo e di “arredo urbano”. Molte operazioni artistiche, oggi sono piu’ problematiche di quelle impegnate degli anni 70. Esse tendono a sottolineare la lotta che l’individualismo -tipico del narcisismo dell’artista – deve ingaggiare con le innumerevoli situazioni di degrado urbano e con drammatiche aporie del sociale. Questo cimento e’ arduo, perche’, per l’artista impegnato, e’ facile cadere nelle banali spire dell’arte didattica e didascalica di aborrita memoria (pensiamo all’imperativo zdanoviano). A questo proposito c’e’ da sottolineare l’impegno di Leonardo Cumbo non solo a partecipare, ma anche a organizzare manifestazioni che abbiano attenzione al territorio, che si svolgono in localita’ famose per l’utilizzo della pietra locale (pietra di Sabucina, pietra peperino, pietra bianca della Maiella, ecc). inoltre il giovane scultore non disdegna l’utilizzo dei materiali nobili come il travertino e il bronzo.
Infatti, la bellissima Scuola di volo (1993, cm.50x35x65), rappresenta ironicamente un’affettuosa mano che tiene in punta di dita un delizioso putto di stampo Celliniano.
Un tempo, lo studio accademico della scultura si fondava sull’impegno acritico del repertorio degli stili storici: oggi l’artista, quando e’ colto e raffinato, “cita” consapevolmente e – spesso – ironicamente tutti gli stili dell’antichita’ in un infinito gioco di rimandi e divertimenti spiritosi.
Cosi’ Cumbo, artista sapido e consapevole ci stupisce con l’utilizzo della splendida pietra arenaria di Sabucina, un tempo usata per le dorate colonne dei templi della Magna Grecia. Infatti, al 2° simposio di scultura su pietra di Sabucina, tenutosi a Montedoro (Cl) nel ’95 Cumbo ha presentato una grande manopoggiante su un vasto basamento. Al culmine del dito indice si avvita metaforicamente una specie di trottola. Al di la’ dell’immagine giocosa si avverte il sentimento del tragico della imperitura fragilita’ del destino umano. La citazione “classica” al piedistallo tipico della scultura tradizionale si coniuga con l’ironia della grande mano, simbolo frequente nella tematica plastica dell’artista siciliano.
Il sottile filo dello scarto e del calembour permea tutta l’opera di Cumbo; questo spirito caustico si trasferisce anche nelle istallazioni, cariche di suggestioni neo-dadaiste,…costituite da materiali leggeri e attualissimi e si contrappongono, solamente dal punto di vista dei materiali, a quelle piu’ nobili dedicate al territorio…
Qui la simbologia preferita da Cumbo e’ tolta dall’universo del quotidiano. Ad uno sguardo superficiale le sue opere appaiono, per molti versi, simili al Pop Statunitense (Oldemburg) oppure al Dada-Surrealismo (MeretOppenheimer). Tuttavia la tensione morale sottesa da un’opera come Metamorfosi attesta lo scarto generazionale dell’artista rispetto ai suoi “padri” putativi. L’istallazione e’ costituita da cinque grandi mele in vetroresina sospese in una cornice (non manca mai la citazione al “classico”!) di cm. 398x220. Al fondo simbolici piatti raccolgono le briciole di un sapere che non si morde mai a fondo in un universo consumistico letale e infinito. E’ noto che la mela, nella cultura cattolica e mediterranea, rappresenta il peccato di Adamo che e’ spinto a trasgredire, ma anche a conoscere. Qui l’ironia nasconde il terribile disagio di fronte alla sfrontatezza dell’uomo contemporaneo, che con il suo prometeico dominio, rifiuta di allontanarsi dalle tentazioni maligne, anzi il grazioso baco che mina la mela si trasforma in una minacciosa vite, dura e invincibile, tanto quanto l’attuale tecnologia. L’intento giocoso di porgere allo spettatore elementi incongrui fra loro (meccanismo tipico delle avanguardie storiche dal Cubismo al Dadaismo) si coniuga felicemente con l’assunzione di elementi poveristi di scarsa valenza “culturale” (tipica del Neo-Dadaismo e del Pop Art). La novita’ e la maestria di Cumbo sta nella consapevolezza che il gioco non puo’ continuare ad essere fine a se stesso. L’amoralismo ha risvolti che le masse non sanno assorbire: si rischia troppo a non aprirsi a sollecitazioni etiche.
Anche l’universo del software, non si sottrae al giudizio severo e insieme giocoso di Leonardo Cumbo. La frode dell’immagine televisiva e’ ormai digerita dalle giovani generazioni. La di un universo desomatizzante e de-somatizzato come quello rappresentato dall’istallazione Input-Output, non aggiunge nulla al disincanto ironico suggerito ancora una volta allo spettatore. Il quale, evidentemente, si chiedera’ perche le impronte scolorano man mano che riescono ad uscire dalla gabbia dominata dall’immagine televisiva. Cumbo non vuole demonizzare questo importante elettrodomestico. E neppure vuole rifare il vieto sociologismo che vuole la televisione un mezzo unicamente ipnotizzante: anzi ricorda ironicamente che le ossa appese alla cornice che racchiude la rete del ragno intessuta dall’immagine televisiva, sono frammenti d’identita’ perdute, irrimediabilmente ricostruite in materiale plastico: i residui dell’identita’ umana non si differenziano piu’ dalle immagini del tubo catodico. Terminator sara’ il nostro pronipote. Si salvi chi puo’, sembra gridare il nostro giovane artista. La salvezza potrebbe essere nell’Attrazione gastrica: dove un grande sorcio e’ attirato da una calamita verso il suo formaggio, oppure nel casalingo sudario delle difficolta’ del quotidiano della Sindone, corredata da guanti lavapiatti che lavano piu’ bianco del bianco (attenti alla reminiscenza dechirichiana del casalingo guanto). Ma, in un guizzo neo-romantico e anti futuristico, Cumbo propone di trasformarci in quel magico Pescatore di Luna (1996, cm.40x80). Allora la fuga diventa un pellegrinaggio intimo e magico, sommesso e personale, cammino rinfrescante e rifugio per tutti quelli che sanno trovare la felicita’ nel nostro disastrato “magico quotidiano”.
Ho gia’ detto altrove che due sono le linee dell’attuale nuova scultura: una ricalca le orme delle strutture primarie e minimali del materismo neo-concettuale, l’altra vuole esprimersi in termini piu’ fastosi, ironici e neo-barocchi. Leonardo Cumbo si trova felicemente su questo versante e siamo certi che procedera’ con piglio sicuro e consapevole delle sue scelte stilistiche per questa ottima strada.